Cronaca

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PESCASSEROLI: BUNGALOW DA DEMOLIRE

- Il Consiglio di Stato mette la parola fine all’annosa vicenda delle 71 casette mobili in un noto campeggio di Pescasseroli, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.La vicenda prende le mosse dall’ordinanza del 2012 di demolizione e riduzione in pristino, poi impugnata davanti al Tar, con cui l’Ente parco aveva ordinato la demolizione delle casette. Nel corso degli anni, infatti, era stato realizzato un complesso, adibito a campeggio, con numerosi bungalow, realizzati progressivamente e costantemente fin dagli anni '90 senza destinazione urbanistica e in assenza del nulla osta del parco. La sentenza di primo grado aveva confermato la legittimità del provvedimento demolitorio, ma era stata di recente appellata davanti al Consiglio di Stato. Anche i giudici di Palazzo Spada hanno accolto le tesi sostenute dal servizio giuridico-legale dell’Ente e hanno definitivamente riconosciuto le ragioni del Parco, convalidando l’ordinanza di demolizione e sancendo una volta per tutte il carattere abusivo delle costruzioni. La sentenza, depositata ieri (giovedì 13 gennaio), è la numero 251.

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TERAMO: FINTI MATRIMONI

- Lo scambio delle fedi, la firma dei testimoni, la registrazione delle nozze, e le notti passate sotto lo stesso tetto in attesa della visita delle forze dell’ordine per verificare la regolarità. Poi, dopo qualche mese, ognuno per la sua strada: la sposa, di nazionalità marocchina, con un permesso di soggiorno regolare che, trascorsi 5 anni senza intoppi, si può trasformare in una cittadinanza, e lo sposo teramano con qualche migliaio di euro in più in tasca. È il business dei falsi matrimoni per regolarizzare stranieri, pronti a tutto per un permesso di soggiorno pagando connazionali e italiani senza scrupoli. È un’inchiesta per ora con due indagati, e un’accusa di falso ideologico e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina quella che la Procura teramana ha aperto su un giro di presunti matrimoni avvenuti a Teramo città.

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CHIETI: CASSAZIONE CONDANNA ASL

- «Se l’infermiere viene prevalentemente adibito allo svolgimento di mansioni non rientranti nel proprio inquadramento professionale ma svolge compiti propri del personale con inquadramento inferiore, ovvero operatore socio sanitario (Oss), con conseguente mortificazione dell'immagine e della professionalità dello stesso, ha diritto ad essere risarcito e ad essere adibito alle proprie funzioni professionali». Questo, non lo sostengono solo i sindacati,ma lo afferma la Corte di Cassazione con una sentenza pilota che ha messo un punto fermo a una controversia iniziata nel 2017 da un infermiere del policlinico di Chieti, che per 5 anni ha svolto anche mansioni da Oss e che ha visto riconosciuto il demansionamento.